Una Lancia Aurelia Sport che sfreccia sotto il sole di Ferragosto, un jukebox che suona canzoni di Edoardo Vianello e Peppino Di Capri, le spiagge affollate.
Sono questi i simboli di un’Italia in preda al boom economico e allo stesso tempo gli emblemi del cinema italiano degli anni’60, di quella grande e irripetibile stagione della gloriosa “commedia all’italiana”.
Una scena memorabile, la cialtronesca sbruffoneria di un “fanfarone” tutto italico, figlio di un preoccupante abbrutimento di un’Italia imborghesita e impazzita: l’auto che corre verso un Ferragosto diverso, pieno di speranze, verso un futuro più coraggioso, ma che incontra sulla sua strada soltanto la morte, giù per la scogliera di Calafuria. Si tratta de Il sorpasso, capolavoro di Dino Risi del 1962 che testimonia nuovamente il grande legame che Livorno, la sua costa ed il Cinema hanno avuto nel corso del Novecento. Una commedia che diventa tragedia e che finisce drammaticamente sul Romito, dopo aver mostrato i fasti di una Castiglioncello estiva che forse non c’è più, proprio come la vera Commedia all’italiana.
E così, dopo il Tutti a casa di Comencini, che nel 1960 aveva fatto vedere una Livorno ancora distrutta dai bombardamenti, tocca a Dino Risi e ai suoi mattatori Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant raccontare la costa labronica.
La città, comunque, non viene toccata dalle riprese (che si svolgono in parte a Castiglioncello e sul Romito), come invece accadrà l’anno successivo con Mare matto di Renato Castellani, dedicato alla gente di mare e ambientato a Genova, Messina e Livorno. Qua Jean Paul Belmondo interpreta un improbabile livornese, mentre Odoardo Spadaro un portuale che non vuole andare in pensione. A fare da sfondo il porto, la Venezia e il lungomare, con le vespe e le lambrette che sfrecciano davanti ai Pancaldi.
Di tutt’altro genere, invece, è l’apparizione di Livorno ne I sequestrati di Altona, pellicola di Vittorio De Sica, sempre del 1963, vincitrice del David di Donatello come miglior film. Interpretato da Sophia Loren e Maximillian Schell, viene girato quasi interamente nei nuovi studi Cosmopolitan, rinati dalle ceneri della Pisorno grazie ai produttori Carlo Ponti e Maleno Malenotti. Di Livorno appare soltanto il Cisternone, appositamente trasformato in teatro berlinese addobbato con svastiche e ritratti di Hitler, ma è questa un’apparizione che ci fa capire nuovamente l’importanza scenografica e cinematografica della città.
Così come degli studios di Tirrenia, che negli anni’60 vedono realizzarsi ventisette pellicole; molte di grandi autori del cinema europeo (Abel Gance, Luigi Zampa, Marco Ferreri, Mario Monicelli e molti altri), ma tutte con poco successo. E così l’ex Pisorno è tristemente costretta a vendere i macchinari e a chiudere definitivamente nel 1969, dopo le riprese de L’assoluto naturale di Mario Bolognini, sul quale Ponti aveva puntato molto, senza successo.
Di questo periodo è però da citare Escalation, opera prima di Roberto Faenza girata non solo negli stabilimenti di Tirrenia, ma anche a Livorno e dintorni. Vediamo infatti via Grande, la Terrazza Mascagni e piazza della Repubblica, ma anche un illusorio scorcio delle spiagge bianche di Vada, a rappresentare nella finzione un tropicale lido indiano.
A Livorno quindi, cinematograficamente parlando, sembra esserci tutto. Lo aveva già capito Giovacchino Forzano nel 1934 quando scelse Tirrenia per i primi studios italiani e lo continuano a pensare anche molti registi e produttori degli anni’60. Una città moderna, con quartieri storici e popolari, con il mare, le colline e, cosa molto importante, una luce naturale che difficilmente può essere trovata altrove. E così, anche durante gli anni’70, molte produzioni si spostano in terra labronica per realizzare film. Purtroppo, però, il cinema italiano, dopo i fasti del decennio precedente, inizia ad incontrare una crisi qualitativa sempre più evidente, alla quale l’avvento delle televisioni private nei primi anni Ottanta darà il colpo finale.
Questa decadenza si nota anche nelle pellicole girate in città. Dopo il deludente La moglie del prete di Dino Risi (1971), realizzato nell’Istituto Salesiani, e il Teresa la ladra di Carlo Di Palma (1973) con molti errori scenografici, inizia infatti la triste stagione della cosiddetta “commedia sexy”, con le sue pecorecciare tentazioni. In città, tra il 1975 e il 1976, vengono girati Il sergente Rompiglioni diventa caporale, Vizio di famiglia (entrambi di Mariano Laurenti) e Oh mia bella matrigna di Guido Leoni, in cui si possono vedere piazza XX settembre e la necropoli etrusca di Baratti, come a dire il sacro con il profano. E’ del 1978 e di tutt’altro genere, invece, il Lo chiamavano Bulldozer di Michele Lupo con Bud Spencer, girato al porto, location che verrà scelta anche tre anni dopo sempre per un film con il gigante buono e la regia di Lupo: Bomber.
Ma con Bomber siamo ormai già negli Ottanta, gli anni della televisione e della ormai quasi devastante crisi del cinema italiano che, tuttavia, per qualche anno continuerà a scegliere comunque Livorno come sfondo alle sue ormai fin troppo banali avventure.
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